“I nostri figli sono come dei solchi in cui tutti vogliono seminare. Chi arriva prima semina e raccoglie i frutti”. |
Queste parole possono sintetizzare l’intervento di Cesare Giorgetti al primo dei tre incontri del ciclo ““Per saperne di più,” promosso dalla Biblioteca – Circolo Culturale “Oscar Franceschini” di Brugnetto. “Genitori: il mestiere più difficile. Tra permessi e divieti” è il tema che lega gli incontri. Venerdì scorso Cesare Giorgetti, responsabile della Pastorale familiare della Diocesi di Rimini, è intervenuto su “”Genitore chi sei? Educarsi per educare””.
Quello dei genitori è un vero e proprio servizio che possiamo fare. Ma occorre guardare l’essere genitori con un modo particolare di vivere l’amore: come uno “stare con”, più che lo “stare per” o il “fare per”. Allora gli sposi vivono la loro vocazione nei confronti dei figli “stando con loro”. Ciò vuol dire che i figli non sono proprietà da possedere e da dirigere, ma sono doni da custodire e da curare teneramente. I figli sono gli “ospiti” più importanti che entrano in casa, ospiti santi. I genitori, dunque, devono vigilare perché i figli stiano di fronte come persone, per non cedere alla tentazione di usarli come cose magari preziosissime. Prima di essere figli sono persone. Il che vuol dire che i genitori educheranno i loro figli non in funzione dei propri progetti.
Il primo pensiero è che ogni figlio trovi il gusto di vivere. Non ci basta che i figli trovino semplicemente idiota lanciare sassi dal cavalcavia. Custodiamo il desiderio che sappiano perché i sassi lanciati dal cavalcavia sono lanciati contro loro stessi. Ci auguriamo anche che non solo non sfidino la vita, ma che non ne smarriscano il gusto. Abbiamo il sogno che i nostri figli trovino i motivi per mettere alla luce i loro figli. E perfino che siano così esagerati da convincere altri che ci si può affidare all’avventura di custodire un bambino.
Per una salda educazione occorrono quattro sentieri.
Dare il permesso di esistere. Dare il permesso di esistere, in concreto significa dare il permesso di aderire alla realtà. Dobbiamo lasciare cadere il bambino immaginato per accogliere il bambino reale. Non coincide mai, neanche nei momenti più propizi, perché subito dopo il bambino che abita nella mente prende il sopravvento. Ci sono troppi genitori che voglio esclusivamente che i propri figli siano come sono loro. Dobbiamo invece lasciare ai figli il permesso di esistere per sé e non per i genitori, permesso di esistere con i propri limiti e i propri talenti che ci fanno essere ciò che siamo. Non si attrezza un bambino alla vita dicendogli: “Devi essere all’altezza del nome che porti”. Un figlio che riceve simili mandati, anche in buona fede, è attrezzato soltanto per il risentimento.
Non ho paura a dirti di no.
Il bambino a cui nessuno ha mai detto dei “No” decisi e irrevocabili, è un bambino che non ha strategie per accostarsi alla vita se non il volere e volere, senza mediazioni. Chi si trova di fronte a un muro invalicabile sa che gli conviene cercare altre strade per raggiungere la sua meta, anche se sono più faticose, meno dirette, meno evidenti: si farà delle strategie, mezzi indispensabili per imparare a vivere la vita. Ma se il muro è solo apparentemente invalicabile, se prendendolo a calci e testate, se a suon di capricci e disperazioni messe in scena, esso crolla, vien meno l’efficacia di ogni strategie: occorre soltanto abbattere il muro a qualunque prezzo.
La fermezza educativa.
Con il termine “fermezza educativa” si intende la capacità di prendere decisioni a favore del bene dei figli, resistendo alle pressioni interne o esterne che tendono a indebolire gli atteggiamenti educativi valutati come giusti. L’esercizio della fermezza educativa comporta, per il genitore, l’esperienza di una certa difficoltà, poiché deve superare il suo naturale desiderio di “vedere il figlio contento” e accettare che questi, per crescere bene, debba necessariamente passare attraverso l’esperienza della rinuncia, dell’impegno, del sacrificio, dell’accettazione del limite all’appagamento dei suoi desideri. Chiedere ai figli comportamenti impegnativi o imporre delle rinunce è inevitabile nell’esperienza di ogni educatore. Un genitore debole può fare comodo, ma non può far felice un figlio.
Amare i figli con cuore di Padre.
Mentre il codice materno tende a proteggere dal dolore e dalle fatiche, il padre è colui che impone al figlio un sacrificio, che sottopone il figlio alla prova. La prova consiste nel chiedere al figlio di affrontare il dolore e la fatica delle rinunce necessarie per poter crescere bene ed essere davvero contento di sé. In questo modo egli aiuta il figlio ad accettare la legge della vita, esperienza che farà di lui una persona diversa e migliore.
Numerosi sono stati gli interventi da parte del pubblico, molte le domande e le manifestazioni di difficoltà. Essere genitori non è un mestiere, ma è un vero e proprio servizio. Il più impegnativo e importante. Appuntamento a mercoledì 18 aprile alle 21.15 con il secondo incontro tenuto dalla psicologa Renata D’Ambrosio che parlerà di “Genitori ed educazione all’affettività. Il ciclo si concluderà venerdì 27 aprile con il giornalista ed insegnate Domenico Bartolini che interverrà su “La vita non è un click: realtà o reality. Genitori ed educazione ai mezzi di comunicazione”.